ILLEGITTIMITA' DEL PROVVEDIMENTO DI DEMOLIZIONE PER OPERE INTERNE - Cons. Stato Sez. VI, 03-09-2020, n. 5354

ILLEGITTIMITA'  DEL PROVVEDIMENTO DI DEMOLIZIONE PER OPERE INTERNE - Cons. Stato Sez. VI, 03-09-2020, n. 5354

E' illegittimo il provvedimento di demolizione in ordine alle opere interne, trattandosi di una tipologia di intervento che può essere assoggettata, in base alla disciplina di cui all'art. 6-bis del D.P.R. 380 del 2001, alla sola sanzione pecuniaria. La diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell'edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al regime della comunicazione di inizio lavori (originariamente ai sensi dell'art. 6, comma 2, ed ora dell'art. 6-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, che disciplina gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata). In tali ipotesi l'omessa comunicazione non può giustificare l'irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell'opera senza il prescritto titolo abilitativo. (Conferma T.A.R. Lazio n. 12096 del 2017.)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4910 del 2018, proposto da

COMUNE DI MONTEROTONDO, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avvocato Nicola Monticelli, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

S.D., V.F., rappresentati e difesi dall'avvocato Claudio De Stefanis, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

- della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 12096 del 2017;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di S.D. e di V.F.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 luglio 2020 il Cons. Dario Simeoli;

L'udienza si svolge ai sensi dell'art. 84 comma 5 del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, attraverso videoconferenza con l'utilizzo di piattaforma "Microsoft Teams" come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Ritenuto che il giudizio può essere definito con sentenza emessa ai sensi dell'art. 74 c.p.a.;

Rilevato in fatto che:

- i signori S.D. e V.F. ? proprietari dell'immobile sito in Monterotondo, a via Emilio Morosini n. 5, comprensivo di appartamento al piano primo, interno n. 2 (al NCEU di Monterotondo al foglio (...), particella n. (...), sub (...)) e locale cantina al piano seminterrato (al NCEU di Monterotondo al foglio (...), particella (...) sub (...), piano S1) ? impugnavano il provvedimento del 7 gennaio 2016, con cui il Comune di Monterotondo aveva contestato loro:

i) la realizzazione ex novo del locale cantina,

ii) la diversa distribuzione interna dell'appartamento e modifiche prospettiche con chiusura di due finestre;

iii) un aumento volumetrico dell'appartamento di mc 1,70 mediante avanzamento della cubatura del WC sul prospetto denominato "C" del palazzo;

- a fondamento della impugnativa deducevano la violazione degli articoli 31, 32 e 34 del D.P.R. n. 380 del 2001, sostenendo che: avevano acquistato l'immobile con atto dell'8 settembre 2010 e di non avervi apportato modifiche; la cantina era indicata negli atti di acquisito dei propri danti causa (del 22 giugno 2006 e del 22 febbraio 2000) e risultava accatastata fin dal 1997; tutte le modifiche rispetto al progetto assentito dalla licenza edilizia n. 87 del 1959 erano state realizzate in costruzione e che, comunque, il Comune aveva rilasciato nel 2013 permesso di costruire per la realizzazione di un ascensore sulla base della documentazione progettuale e fotografica corrispondente al reale stato dei luoghi; analoghe contestazioni, peraltro, non erano state mosse per simili circostanze imputabili ai vicini che, anzi, avevano regolarmente ricevuto il titolo edilizio per l'installazione di un ascensore;

- i proprietari proponevano poi motivi aggiunti avverso il diniego del 10 agosto 2016 frapposto dall'Amministrazione comunale alla domanda di accertamento della conformità (ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001) da loro nel frattempo presentata per le medesime opere contestate nell'ordinanza di demolizione, lamentando la violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990 (il suddetto diniego, in particolare, era stato motivato in relazione all'esaurimento della capacità edificatoria del lotto, al mancato rispetto della distanza dai confini, alla carenza del rapporto aeroilluminante in relazione alla chiusura delle finestre, ai sensi del D.M. 5 luglio 1975);

- il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con sentenza 12096/2017, respinta l'eccezione di improcedibilità proposta dal Comune, accoglieva il ricorso introduttivo, limitatamente alle parti del provvedimento di demolizione relative alla cantina e all'aumento della volumetria, mentre lo respingeva con riferimento alla chiusura delle finestre; quanto ai motivi aggiunti, li dichiarava improcedibili con riferimento all'aumento volumetrico (stante l'accoglimento del corrispondente motivo di ricorso principale), e li accoglieva per difetto di istruttoria e motivazione con riferimento alla chiusura delle finestre;

- avverso la predetta sentenza ha proposto appello il Comune di Monterotondo, chiedendone l'integrale riforma, deducendo che:

a) con riferimento alla cantina: il locale cantina dei ricorrenti non risultava negli elaborati grafici della licenza edilizia del 1959; tale circostanza era riscontrabile anche nella planimetria allegata alla compravendita del 2010; la semplice menzione nei pregressi atti traslativi non poteva spiegare alcuna valenza legale; la cantina appariva non essere assistita da alcun titolo abilitativo; le predette carenze di titoli legittimanti erano de plano evidenti ed emergevano nitidamente anche dalla relazione tecnica di parte depositata in data 10 ottobre 2017; non era stato fornito dalla ricorrente alcun elemento a supporto della asserita difficoltà della demolizione senza pregiudizio dell'intero edificio; la parte ricorrente in primo grado non aveva mai lamentato la violazione dell'art. 37 del testo unico dell'edilizia, che il giudice di prime cure era invece giunto ad applicare "d'ufficio", in violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;

b) con riferimento all'aumento volumetrico: l'ampliamento contestato non poteva non considerarsi quale variazione essenziale ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera h), della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008, in quanto l'intervento realizzato violava la vigente normativa in materia antisismica perché realizzato in assenza della prescritta autorizzazione;

c) con riferimento alla chiusura delle finestre: le giustificazioni addotte dagli istanti erano state apprezzate dall'Amministrazione la quale aveva affermato che il relativo diniego, anche dopo le ragioni addotte nel supplemento informativo di cui alla relazione tecnica del 14 giugno 2016, proprio in merito al rapporto aero-illuminante, erano superate dalle motivazioni già riportate nell'impugnato provvedimento; in applicazione a quanto previsto dall'art. 5 del decreto-ministeriale 5 luglio 1975, il rispetto della superficie finestrata minima doveva essere verificata per ogni singolo ambiente, contrariamente a quanto ritenuto dal tecnico di parte, secondo cui la stessa andrebbe riferita alla superficie totale dell'immobile;

- resistono in giudizio i signori S.D. e V.F., insistendo per il rigetto dell'appello; in via condizionata, i proprietari reiterano, ai sensi dell'art. 101, comma 2, del c.p.a., il secondo e quarto motivo di ricorso svolti in primo grado (riferiti, rispettivamente, alle ulteriori osservazioni riferire alla cantina rimaste assorbite, e alla circostanza che presso il Comune di Monterotondo non sarebbe esistita una documentazione certa, attestante il reale stato dell'immobile);

Ritenuto in diritto che:

- la sentenza di primo grado deve essere integralmente confermata;

- va, in primo luogo confermata l'illegittimità del provvedimento di demolizione in ordine alle opere interne, trattandosi di una tipologia di intervento che può essere assoggettata, in base alla disciplina di cui all'art. 6-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, alla sola sanzione pecuniaria;

- la diversa distribuzione degli ambienti interni mediante eliminazione e spostamenti di tramezzature, purché non interessi le parti strutturali dell'edificio, costituisce attività di manutenzione straordinaria soggetta al regime della comunicazione di inizio lavori (originariamente ai sensi dell'art. 6, comma 2, ed ora dell'art. 6-bis del D.P.R. n. 380 del 2001, che disciplina gli interventi subordinati a comunicazione di inizio lavori asseverata);

- in tali ipotesi, pertanto, l'omessa comunicazione non può giustificare l'irrogazione della sanzione demolitoria che presuppone il dato formale della realizzazione dell'opera senza il prescritto titolo abilitativo;

- anche con riguardo alla cantina, il giudice di prime cure ha correttamente ravvisato il difetto di motivazione dell'ordine di demolizione:

- il Comune, come si è detto, contesta agli odierni appellati la "realizzazione di un locale cantina delle dimensioni di mt. 4,75 x mt. 4,88 circa, avente altezza di mt. 2,50, collegato mediante prolungamento della scala condominiale";

- sennonché, in primo luogo, il Comune avrebbe dovuto verificare se il manufatto contestato potesse rientrare tra gli interventi pertinenziali di al punto e-6) del comma 1 dell'art. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, i quali se contenuti nei limiti 20% del volume dell'edificio principale sono soggetti alla sola sanzione pecuniaria (prevista dall'art. 37 del d.P.R. 380 del 2001);

- non sussiste alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato, tenuto conto che i proprietari, nel ricorso in primo grado, avevano espressamente eccepito - con specifico riferimento all'ordine di demolizione della cantina - che il provvedimento impugnato era illegittimo (anche) perché era stata irrogata la sanzione della demolizione in luogo della sanzione pecuniaria;

- peraltro, un ulteriore difetto motivazionale va ravvisato nel fatto che l'Amministrazione non ha preso espressa posizione sulle deduzioni degli appellati volte a sostenere che la cantina sarebbe stata edificata nel 1959, con tutto il palazzo, come si ricaverebbe dall'esame empirico della scala condominiale, che il Comune afferma invece essere stata prolungata per collegare la cantina al piano terreno (in particolare, nella relazione del geometra D.F., si legge che la cantina si trova a livello sopra le fondazioni e che la struttura della scala è tutta un corpo, cosicché non sarebbe possibile che sia stata modificata aggiungendo una rampa per scendere);

- anche rispetto all'aumento volumetrico quantificato in mc 1,70 circa (realizzato mediante l'avanzamento della tamponatura nel locale WC), il giudice di prime cure ha correttamente statuito che si tratta di variante non essenziale al progetto originario, dal momento che l'art. 34, comma 2-ter, del testo unico dell'edilizia (vigente ratione temporis) esclude che sia abbia parziale difformità del titolo abilitativo in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali;

- è inconferente invece il riferimento dell'appellante all'art. 17, comma 1, lettera h), della legge della Regione Lazio n. 15 del 2008, secondo cui costituiscono variazioni essenziali al progetto approvato "la violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica quando non attenga a fatti procedurali"; nel caso di specie, il Comune non chiarisce infatti quale sia la difformità sostanziale riscontrata nel manufatto rispetto alle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, lamentando solo l'assenza della prescritta autorizzazione;

- infine, anche quanto alla chiusura delle finestre, la sentenza appellata è pienamente condivisibile;

- il diniego di accertamento di conformità afferma sul punto che l'elaborato grafico allegato alla domanda di accertamento di conformità sarebbe "carente della verifica aeroilluminante ai sensi del D.M. 5 luglio 1975 e ... da una verifica istruttoria effettuata rilevando graficamente le superfici finestrate rappresentate, non risulta soddisfatto il rapporto minimo previsto dalla normativa vigente";

- ai sensi dell'art. 5 del D.M. 5 luglio 1975, "tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d'uso. Per ciascun locale d'abitazione, l'ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al 2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento";

- su queste basi, pur avendo il tecnico incaricato dai ricorrenti specificato (nelle osservazioni presentate il 14 giugno 2016 a seguito del preavviso di rigetto) che tale rapporto rispettava la proporzione 1/8, considerando la superficie di metri quadri 61,56 e quella finestrata di 8,37, il diniego di sanatoria si limita a riportare le medesime deduzioni contenute nel preavviso di rigetto;

- va rimarcato che il dovere di esaminare le memorie prodotte dall'interessato a seguito del preavviso di rigetto è particolarmente penetrante con riferimento alla prospettazione da parte del privato di specifici elementi fattuali del tutto incompatibili con la tesi dell'Amministrazione procedente, la quale in tal caso è onerata della loro espressa confutazione;

- l'appello va dunque integralmente respinto;

- la liquidazione delle spese di lite del secondo grado di giudizio segue la soccombenza secondo la regola generale;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello n. 4910 del 2018, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna l'appellante al pagamento delle spese di lite del secondo grado di giudizio in favore della controparte costituita, che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00, oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente

Bernhard Lageder, Consigliere

Vincenzo Lopilato, Consigliere

Alessandro Maggio, Consigliere

Dario Simeoli, Consigliere, Estensore


Avv. Francesco Botta

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